Il tempo è un grande inganno.
Sono seduto in spiaggia a Palizzi, 42 anni dopo l’ultima volta. Con me un’amica di quel tempo magico. Illuminati soltanto dalla luna ascoltiamo il mare e iniziamo a parlare.
- Bob, quanto tempo…
- Troppo.
- Mi sembra ieri che stavamo sdraiati proprio qui a sentire la musica che arrivava da La Vela.
- Il tempo è un grande inganno. Siamo talmente arroganti da volerlo misurare ma lui se ne fotte e va dritto per la sua strada.
- Hai mai letto la lettera che ti avevo scritto quando è mancata tua mamma?
- Sì, certo, la ricordo perfettamente. Grazie.
- Hai sofferto molto.
- Non subito, poi mi sono sentito come un albero a cui avevano tagliato di netto le radici. Non percepivo più la mia origine, era come se fossi nato dal nulla.
I genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai figli, ma i figli dovrebbero godersi i genitori il più a lungo possibile. Non avevo manco 24 anni quando mamma se n’è andata. Ho più vita senza di lei che insieme a lei.
- Metti su un po’ di musica?
- Ho la cassa bluetooth nello zaino, adesso la collego al telefono.
- Continua a raccontare, mi mancano molti pezzi. Tempo ne abbiamo.
- Eh, sono DJ da quarant’anni, ho fatto tante altre cose, lo speaker radiofonico, il commesso in jeanseria, il segretario amministrativo, l’operaio forestale e qualche lavoro di fatica. Non ho rimorsi per la verità.
- Poi se n’è andato anche tuo padre.
- Prima di lui c’è stata la mattanza, sia nella famiglia di mamma, sia in quella di papà.
La nonna paterna ha visto andarsene cinque figli su sei.
Cambiando discorso, ricordi la sera tutti gli adulti seduti in Via Ariella che se la raccontavano? E le abbuffate di pesce da Nuccio? Il dopo disco da Proietto a mangiare il pane appena sfornato con i pomodori freschi e la mozzarella? Stavo talmente bene a Palizzi che ogni estate quando era ora di tornare alla base chiedevo ai miei di lasciarmi qui. Credo sia stato l’ultimo periodo innocente della mia vita, forse delle nostre vite.
- L’ultimo anno in cui sei sceso è stato il 1982, giusto?
- Sì. Accolto dalla grossa scritta “Rossi, Tardelli, Altobelli” sui gradini che portavano in piazza. Quanto tempo abbiamo trascorso sulle panchine: a turno si andava a comprare le sigarette, con la paranoia che il tabaccaio facesse la spia con i nostri genitori.
- La mattina venivo a svegliarti, i tuoi erano già al mare da ore…
- Eh, io facevo il fenomeno tutte le sere a La Vela con i tipi punk di Milano. Arrivavano giù in massa con musicassette e vinili al seguito e Santo il DJ ci dedicava sempre un’ora del set. Clash, Sex Pistols, Ramones, Alice Cooper: ogni volta che ascolto Sandinista! mi viene in mente Palizzi.
- E la tipa che hai corteggiato fino al penultimo giorno?
- L’ultima sera finalmente siamo riusciti ad appartarci. La mattina dopo me la sono trovata alla stazione che piangeva. Mentre salivo sul treno ci siamo giurati amore eterno, poi sai come vanno a finire ‘ste storie. Il giorno successivo mi ha telefonato a casa ad Aosta, abbiamo iniziato a scriverci, a Natale del 1982 sarei dovuto scendere con Gigi di Varese ma poi non se n’è fatto più nulla. Chissà come sta, ricordo perfettamente i suoi capelli rossi, gli occhi azzurri e le lentiggini. Il primo bacio sapeva di Birra Raffo e di cioccolato.
- Quando venivi giù mi raccontavi entusiasta delle bande di Aosta.
- Che tempi, vivevamo per la nostra compagnia di riferimento. Sai, alla fine l’epopea è durata meno di dieci anni, ma a quell’età la vita è talmente intensa che gli anni paiono secoli. C’erano uno spirito di gruppo, una solidarietà e un rispetto che non esistono più.
Il rispetto poi era trasversale, riguardava tutte le bande, al di là delle scazzottate o delle rivendicazioni territoriali. Una domenica pomeriggio del 1981 partimmo in cento alla volta di Châtillon per vendicare il pestaggio di tre ragazzi del Viale avvenuto al Free Time da parte di un sacco di gente della bassa valle. Al Free non era mai prudente recarsi da soli o in quattro gatti, si giocava fuori casa e là dentro faceva sempre caldo. Una sera mentre mi lavavo le mani in bagno buttai l’occhio sul lavandino accanto, sopra c’era posata una pistola di un tipo delle Vallette che era andato a far pipì. Non sono rimasto un secondo di più là dentro.
Di solito si andava giù in tanti, al giovedì c’era la nostra serata preferita, Maurizio De Stefani metteva i dischi.
- Mi sa che il film The Warriors vi ha fatto male.
- Sì, ma non solo ad Aosta, a Torino per esempio le dinamiche erano le stesse.
- Usavate anche voi i gilet?
- Guarda, ogni compagnia aveva qualche capo di abbigliamento che la contraddistingueva dalle altre. L’ho scritto pure nel mio libro. In linea di massima il look veniva definito da sciancati. Noi eravamo gli “sciancati” che si contrapponevano ai fighetti.
Una domenica pomeriggio al Moog’s Club di Aosta un tipo diede della zoccola alla fidanzata di uno dei pezzi grossi del Crestani. La sera andammo a Saint-Pierre, dove abitava il fenomeno, e dopo aver lasciato le auto fuori dal paese attraversammo a piedi l’intero abitato. Non c’era un’anima in giro, le voci giravano in fretta, altro che smartphone, WhatsApp e social. La gente ci guardava da dietro le finestre con le luci di casa spente.
- Fa un po’ strano ripensarci adesso, vero? Era un altro mondo.
- Sì, esatto, un altro mondo. Sono passati quarant’anni. Un’eternità.
- Eravate belli presi però…
- Esistevano regole non scritte che andavano rispettate all’interno di un micromondo appartenente a una società che naturalmente ne annoverava anche altri. Noi come ti ho detto eravamo per tutti gli sciancati, avevamo i nostri luoghi che erano soltanto nostri, con il passare del tempo poi le bande decisero di sotterrare l’ascia di guerra e ci si divertiva tutti insieme.
- Ma l’epopea è finita. Cos’è successo?
- Era inevitabile, finita la scuola e la naia ci sentivamo già persone diverse, poi il lavoro, la famiglia, quel tempo non poteva durare in eterno.
Forse sarebbe potuto andare avanti ancora un po’ ma la droga ha rovinato tutto.
- In che senso?
- Sai, le canne univano le persone, poi arrivò l’eroina che invece le persone le ha divise, allontanate e distrutte. Entrò sul mercato prepotentemente, qualcuno ipotizza che fosse una strategia decisa dall’alto per addormentare una generazione, un po’ come successe negli Stati Uniti con gli afroamericani. Erano gli anni di piombo, delle grosse contestazioni.
Ho visto gente cambiare da un giorno all’altro, nonostante si ostinasse a ripetere “Smetto quando voglio!”. Un flagello, un disastro, ho perso amici cari tra overdosi e suicidi.
Avrei preferito un finale del film decisamente diverso.